L'architettura milanese nei disegni di Steinberg

Roberto Dulio

Un edificio dal prospetto simmetrico: un impianto classico declinato in partiture architettoniche semplificate, non estranee alla politezza delle avanguardie, ma rifigurate in monumentale compostezza. Una grande scalinata alla base del pronao, un attico sul quale garrisce il tricolore col fascio littorio, due ali laterali e, sullo scorcio, l’inusitata profondità del lotto. Nel cielo sfreccia una formazione di nove aerei. Un tram, a destra sulla scena, si appresta ad attraversarla: si distinguono il conducente e i passeggeri, in alto la scritta “16 Lambrate” e in basso lo stemma del Comune di Milano. Più arretrata, una carrozzella trainata da un cavallo. In primo piano un uomo e una donna quasi si fronteggiano, senza guardarsi. La lugubre figura maschile indossa un’uniforme militare e si esibisce in un rigido e caricaturale passo dell’oca; quella femminile cammina più liberamente, con un succinto abito svolazzante, tacchi alti e una corta acconciatura attentamente studiata. A sinistra un’altra figura maschile, in abiti borghesi, speculare e simmetrica al militare è, come questo, impegnata in un ridicolo passo militare, al quale somma il saluto romano. È questo uno dei disegni più noti di Saul Steinberg: realizzato nel 1970, si intitola Milano 1938. Dispiega con esattezza sorprendente il ricordo di uno dei momenti più complessi e drammatici della vita del suo autore.
La data del titolo del disegno non è casuale. Il 1938 non è solo l’anno nel quale Mussolini adotta per l’esercito italiano il passo dell’oca tedesco, ribattezzandolo “passo romano”, ma è anche l’anno in cui sono emanate le leggi razziali che declassano i diritti civili e sanciscono la persecuzione di Steinberg e di tutti gli ebrei italiani. E l’anno che, nella memoria di Steinberg, segna il doloroso spartiacque tra il periodo di formazione e la drammatica scoperta della vera facies del Fascismo. Quindi il confine tra un periodo felice e l’inizio di un dramma. Tra un ricordo di giovanile nostalgia, che Steinberg caricherà sempre di un carsico senso di colpa per la spensierata convivenza col regime, e l’esordio di uno dei periodi più drammatici della sua vita, che si concluderà con l’esilio negli Stati Uniti nel 1941.
Nella filigrana del disegno affiora il dolore di quel ricordo, ma anche la raffinata capacità, affilata nei tre decenni successivi (il disegno è del 1970), di cogliere fulmineamente la società e i contraddittori rituali di quegli anni, la lugubre incombenza del Fascismo sulle istituzioni e sulla vita, tanto da riflettersi anche sui comportamenti quotidiani. Il saluto romano non è infatti ostentato dal militare, ma dall’anonimo passante che, in borghese, cammina a passo di marcia come il militare. La presenza femminile non si sottrae allo stereotipo dell’epoca, del quale ricalca gli elementi più convenzionali.
Sotto l’egida del Fascismo si collocano anche le istituzioni pubbliche: nell’edificio, sulla cui sommità sventola il tricolore col fascio, è facilmente riconoscibile il Palazzo di Giustizia di Milano, realizzato da Marcello Piacentini tra il 1930 e il 1940. L’architettura del disegno non coincide esattamente con quella piacentiniana, tuttavia quell’edificio è indubitabilmente il palazzo milanese. I disegni di Steinberg non sono pedissequi, ossia non coincidono esattamente con i particolari della realtà, ma colgono sinteticamente il vero, ossia l’essenza di un luogo, di un edificio o di una personalità, anche in virtù delle deroghe alla letterale aderenza al modello. In questo caso, paradossalmente, la memoria non offusca il ricordo, ma lo chiarifica. Steinberg si laurea in architettura nel 1940, poco prima di migrare oltreoceano: ha un occhio acutissimo nell’osservare la città, i monumenti e gli edifici. Quello del disegno è sì il palazzo milanese ma è anche straordinariamente simile agli edifici pubblici costruiti negli Stati Uniti durante il new deal rooseveltiano. Steinberg sa cogliere, con i suoi disegni, tale continuità: nel disegno Cincinnati Post Office, del 1981 circa, rappresenta l’omonimo edificio – costruito dall’architetto Louis Adolphe Simon tra il 1936 e il 1939! – che rivela un’incredibile somiglianza con il palazzo piacentiniano. Mentre la formazione aerea nel cielo di Milano 1938 annuncia l’arrivo della guerra, il tram a carrelli si avvia al capolinea a Lambrate, riportandoci entro i confini di quella Città degli Studi nella quale di fatto Steinberg aveva vissuto tra il 1933 e il 1941. Piazza Leonardo da Vinci con il Politecnico, via Pascoli, piazza Carlo Erba, piazza Piola, via Ampère, via Pacini, via della Sila, Lambrate, ritornano ossessivamente nei ricordi di Steinberg, si affacciano nei suoi disegni, fusi con la toponomastica di Parigi o di New York, oppure distillati dalla memoria e sovrapposti alle visioni degli stessi luoghi, che Steinberg rivedrà molte volte in occasione dei suoi viaggi in Italia. Il tram milanese porta a Lambrate non solo i passeggeri, ma anche i ricordi di Steinberg. La stazione del quartiere nel 1986 sarà protagonista di un altro sintetico disegno: Chateau Lambrate, un’immaginaria etichetta per un bordeaux “mis en bouteille à la gare” [imbottigliato in stazione]. Nel 1982 la cantina francese Château Mouton Rothschild aveva commissionato a Steinberg un’etichetta per uno dei suoi vini; quella inventata è invece disegnata da Steinberg per il suo amico Aldo Buzzi. La stazione, come il Palazzo di Giustizia di Milano, non trascrive l’effettiva costruzione: il disegno non è pedissequo ma è vero; la stazione è riconoscibilissima nel piccolo edificio che campeggia al centro dell’etichetta.
Il tram poi compare altre volte nei disegni di Steinberg, come in quello pubblicato sulla rivista Look nel gennaio 1952, palesemente ambientato in Italia – con le bandierine tricolori e la réclame “Aperitivo Select” – e notevolmente simile a un disegno di Piero Portaluppi, Sezione di tramway, realizzato nel 1924 circa. Non appare infatti secondario il fatto che Portaluppi – oltre a essere docente e preside di Steinberg, studente del Politecnico – fosse un brillante ed estroverso disegnatore satirico, elemento che non deve essere certo sfuggito al suo allievo architetto e ancor più brillante disegnatore. Portaluppi lo aiuterà a conseguire la laurea nel poco tempo concesso dalle leggi razziali; Steinberg non lo nominerà mai nei suoi ricordi e nei carteggi del dopoguerra, ma certo su questa censura pesa la compromissione di Portaluppi col Fascismo e il complesso rapporto di Steinberg con il suo passato. L’architettura milanese – quella autobiografica della Città degli Studi – compare anche in altri disegni realizzati da Steinberg negli anni ’70, in un momento nel quale matura una più sofferta elaborazione dei ricordi. In Via Ampere 1936, sempre del 1970, una chiesa modernista si attesta sull’angolo della via, alla sinistra un lotto occupato da un giardino e poi un edificio d’abitazione di tre piani tipicamente anni ’30, con una latteria al piano terra. Due figure maschili, questa volta entrambe in divisa, con il fez, si scambiano un saluto romano marciando una verso l’altra, mentre in strada un ragazzino è arrampicato, quasi incastrato, su una bici in corsa. Una figura femminile, sempre con abiti e acconciatura alla moda dell’epoca, di scorcio, si appresta ad attraversare la strada. L’unica chiesa che si affaccia effettivamente su via Ampère è quella di San Pio X, prospiciente piazza Leonardo da Vinci: in effetti lo spazio del disegno pare alludere a questo esteso slargo urbano. Tuttavia la chiesa viene realizzata dall’architetto Giuseppe Chinigher nel 1955: ancora una volta Steinberg sovrappone al ricordo del luogo negli anni ’30 la visione di un suo viaggio successivo. Altera i reali tempi di costruzione e collocazione – il condominio con la latteria – degli edifici, muta alcuni caratteri architettonici degli stessi, ma ancora una volta coglie il vero senso del luogo, al di là dell’esattezza dei particolari. Per lui la Città degli Studi è la città degli anni ’30, ancora di più se la ricorda e la rivede negli anni ’70.

Inoltre l’acuto occhio di Steinberg – e la confidenza con l’architettura maturata nei suoi studi – gli permettono di rendersi conto che l’architettura milanese (e americana) tra le due guerre non è tassonomicamente ascrivibile a una rassicurante quanto banale categoria espressiva o storiografica, ma è frutto dell’interazione di più temperie culturali, le cui derive infrangono banali tassonomie e cronologie. Così la sua architettura è sospesa tra gli stilemi déco, la compostezza del Novecento e il dettato funzionalista delle avanguardie. Affiora anche nell’Untitled del 1977, nel quale compare una villa: non è razionalista, non è neofuturista, non è Bauhaus: è la pratica di un disincantato lessico professionale che l’occhio di Steinberg aveva colto in fieri prima e sa ben individuare poi. L’architettura degli anni ’20 e ’30 non è caricaturale e ridicolizzata, come talvolta si pretende, ma è colta in tutta la sua complessità e nelle contraddizioni del suo ruolo sullo sfondo di eventi tragici, con aspetti inquietanti e tragicamente ridicoli, come quelli provocati dal Fascismo.

I disegni milanesi accompagnano tutta l’attività di Steinberg, dagli anni ’30 alla morte, ne anticipano e condensano alcuni temi, diventano una sorprendente chiave di lettura per una personalità straordinaria in perenne e fragile equilibrio con il suo passato. Come in un disegno senza titolo del 1975 nel quale una figura maschile corpulenta (un maestro? Un professore?), con pantaloni ampi e scarpe affusolate, secondo la moda degli anni ’30 (caratteristiche di un preciso abbigliamento riproposto da Steinberg in un altro disegno senza titolo del 1957-60), guarda inerme verso la cattedra di un’aula; sulla parete campeggiano una carta geografica dell’Italia e uno scarno crocefisso.